In my blood

Jace & Anne | Teatro della scuola | Tardo pomerggio.

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    Pulvis et umbra sumus.

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    Anne EvangelineEvans

    ❝E' il tuo dono vedere la la bellezza e l'orrore delle cose
    di tutti i giorni.❞
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    ■ 19 ■ mutante ■ creazione oggetti a forma psionica ■ NB ■ scheda

    I
    l professor Burbage aveva sempre avuto una voce piena e sicura di sé.
    Anne lo ammirava non poco, per la sua tempra dotata d'una pazienza fuori misura, eccellente per i suoi giovani allievi. Nonostante ciò, la giovane donna in attesa sul palco non si era decisa a tranquillizzarsi neppure per un attimo, torturandosi le mani intrecciate fra loro, dalle dita affusolate e sottili.
    Non sei certo un attrice, che diavolo ci fai qui?
    Eppure, nessuno aveva ottenuto la parte di Giulietta ed a luglio, a fine sessione di esami per i ragazzi della New Orleans High School, neppure una persona era riuscita a calcare il palco senza incepparsi e risultare snervante all'ennesimo errore. Nessuno ci aveva ancora messo la stessa passione, vitalità e mera ingenuità di Anne che conosceva a menadito ogni sillaba già prima di buttarsi in quel vestito soffice e liscio di scena, imbarcandosi in quella difficile impresa.
    Senza alcuna, minima, assoluta nozione di recitazione. Senza alcun metodo per gestire se stessa e l'ansia in quei momenti tanto concitati, specialmente nell'eventualità di avere un pubblico dinanzi (sì, sempre e solo di genitori orgogliosi ed amici fedeli ma, comunque, pur sempre un pubblico).
    Ancor di più per il fatto che Romeo, un ragazzo dell'ultimo anno, si era dato per disperso.
    Anne, fuori dall'orario di lezione, l'aveva provato a rintracciare in ogni modo possibile. Già contrario alla propria indole, il rincorrere le persone, con lui ci sarebbero mancati solo i piccioni viaggiatori...
    «... od i messaggi in bottiglia. Niente da fare prof, Porter sembra evitarmi deliberatamente» spiegò chiara Anne, scossa dai propri pensieri proprio mentre Burbage le si avvicinava, impettito come se il palco fosse stato la sua seconda casa per anni interi.
    «Tranquilla, cara Anne. Troveremo un rimedio a tutto ciò. Nel mentre respira, sembri in apnea» Così il corpo magro della ragazza cercò di rilassarsi, i lunghissimi capelli castani sparsi, liberi, in onde che le carezzavano sino alla parte più bassa della schiena.
    Nella penombra di una quinta si sentiva a proprio agio, seduta su un oggetto di scena non ben identificato, basso abbastanza da accoglierla. Vi si arrampicò su, restando in disparte più che poté.
    A quel punto le prove iniziarono, di Romeo neppure l'ombra, mentre il professor Burbage provava assieme agli altri ragazzi, indicando loro vie interpretative innovative e simpatiche, considerando che la messa in scena sarebbe comunque dovuta essere eseguita da giovani uomini e donne e non certo da attorni navigati.
    Questo pensiero, difatti, rassicurò la giovane mutante che, per non cadere preda dei propri istintivi poteri, cercò ristoro in altro: ricordò sua madre, immaginando quanto e se fosse sofferente a Londra, nella residenza di Jace, non certo a causa di lui.
    Qualcosa le fece intuire che la sua transizione a vampira non doveva essere facile e, in qualche modo, sperò che le proprie parole potessero giungerle al cuore nonostante la lontananza, nonostante le taciute verità di suo padre e di sua sorella, che aveva affrontato proprio il giorno precedente, domandando come mai fosse stata, proprio lei, tenuta allo scuro di tutta la brutale verità che si celava dietro la nascita di Lily.
    Una mano sulla fronte un po' pulsante, Anne si guardò attorno, scorgendo una silhouette conosciuta, asciutta, tutt'altro che aspettata in quel momento di raccoglimento di giovani attori ed attrici attorno al cerchio immaginario di fascino del professor Burbage, il quale non esitò a lanciarle un'occhiata complice, stranamente sorridente.

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    Jace Verlac

    ❝Ama il tuo peccato
    e sarai innocente❞
    ■ 464 anni ■ Vampire ■ Single ■ Scrittore ■ scheda

    D
    i bocche da baciare, di corpi da amare, Edward de Vere ne aveva avuti tanti.
    Strappato al calore dell'umanità, egli lo cercava nei corpi che si offrivano a lui per una notte di passione.
    Strappato all'Amore, che gli era stato negato, egli l'aveva cercato a lungo. E lo cercava, ancora, in mille altre donne che si erano a lui offerte e che si offrivano al suo sguardo, soffrendo per i suoi sguardi poco interessati, per le sue risposte gelide e sarcastiche.
    Ma Jace era fatto così. Jace aveva abbandonato qualsiasi pretesa di essere amato, qualsiasi speranza in merito.
    Era un vampiro. Si nutriva di sangue.
    Chi mai avrebbe amato un mostro? Chi mai avrebbe potuto comprenderlo fino in fondo?
    Per questo, forte delle proprie convinzioni, Jace Verlac aveva finito per chiudersi dietro uno spesso muro di ghiaccio e sarcasmo. L'unico colore più caldo era quello del sangue, fonte primaria della sua sussistenza.
    Eppure, aveva salvato una donna.
    Eppure, se ne prendeva cura. Le aveva inferto il morso nel salvarla, rivedendo in quei tratti gentili quelli della sua defunta madre, la donna che era stata la sola ad amarlo sinceramente, come sua sorella, la povera Mary.
    Ma l'aveva salvata, consegnandola ad una vita forse più oscura.
    Si pentiva di aver salvato Emma? No. Non ci sarebbe mai riuscito, tutto sommato: Jace era consapevole dei propri limiti di vampiro e di essere umano. E l'empatia era un mix perfetto delle due nature.
    E dopo Emma, era arrivata Annie. Sua figlia.
    Annie era un essere umano notevole. Jace si rendeva perfettamente conto che – tenere testa ad uno come lui- fosse davvero complesso. Ma lei era diversa: lei lo comprendeva fino in fondo, vedeva oltre il ghiaccio.
    Lei non aveva paura.
    E lui l'aveva baciata.
    L'aveva stretta al proprio freddo corpo e l'aveva baciata, catturando quella bocca in un bacio che sapeva di disperazione e voglia di calore, ancora una volta. Incredibilmente, lei non si era tirata indietro.
    Ma lui aveva bisogno di tempo.
    Ecco perchè era tornato a Londra. Aveva cercato di pressare Emma di domande, cercando di comprendere, capire, avere informazioni.
    Emma, però, si era chiusa in un silenzio ostile e Jace era tornato a casa, rabbioso e rassegnato all'idea di dover capire il piano di David da solo, con Annie.
    Ma non c'era più tempo, per quello.
    Non mentre Jace apriva le porte del teatro, in cui le prove di quella stupida recita erano in corso. Il suo amico lo aveva informato del fatto che Annie avesse ottenuto la parte di Giulietta: Jace le aveva mandato dei fiori.
    Uno splendido mazzo di rose rosse, recapitato in casa Evans mentre lui era a Londra con Emma. Non aveva scritto il mittente, ma lei avrebbe capito.
    Il rosso è l'unico colore che macchia il ghiaccio aveva scritto nel bigliettino allegato.
    Comunque, entrato, si accomodò tranquillamente in prima filla, riservando un cenno al professore e uno sguardo ad Annie mentre accavallava le gambe e guardava, annoiato, la scena che dei ragazzi stavano provando.
    «Mercuzio è la forza della passione, signor Campbell. Cerchi di mettere un po' d'anima, in quello che sta facendo» suggerì sarcastico.
    Dio, ragazzini senza voglia di fare.

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